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mercoledì 9 ottobre 2013
lunedì 29 aprile 2013
Famiglia – Matrimonio – Comunione legale - Crediti personali di uno solo dei coniugi – Espropriazione
Da:http://www.telediritto.it/index.php/diritto-civile1/giurisprudenza/4824-famiglia-matrimonio-comunione-legale-crediti-personali-di-uno-solo-dei-coniugi-espropriazione
La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione. Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 6575 del 14/03/2013 (massima a cura della redazione di Foroeuropeo) - http://www.foroeuropeo.it/
Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 6575 del 14/03/2013
Svolgimento del processo
1. An.Lo. propose al tribunale di Torino opposizione avverso l'ordinanza di vendita di un immobile caduto nel fallimento della Ed. sas e dell'accomandatario, di lei coniuge, Gi.De. in proprio, deducendo essere il bene, da questi acquistato il 9.11.92, compreso nella comunione legale con lui, ricostituitasi per la riconciliazione intervenuta successivamente ad una prima separazione consensuale del 1986, come riconosciuto in una successiva separazione, anch'essa consensuale, del 25 marzo 1998; ma la convenuta curatela dedusse la mancanza di prova della ricostituzione della comunione legale tra i coniugi per effetto dell'addotta riconciliazione intervenuta dopo la (prima) separazione, comunque non opponibile ai terzi; ed il tribunale rigettò la domanda.
La corte di appello di Torino dichiarò poi inammissibile il gravame della Lo., articolato su venti ragioni di doglianza, rilevando la mancata specifica impugnazione di entrambe tali rationes decidendi e condannando l'appellante alle spese anche del secondo grado.
Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 6575 del 14/03/2013
Svolgimento del processo
1. An.Lo. propose al tribunale di Torino opposizione avverso l'ordinanza di vendita di un immobile caduto nel fallimento della Ed. sas e dell'accomandatario, di lei coniuge, Gi.De. in proprio, deducendo essere il bene, da questi acquistato il 9.11.92, compreso nella comunione legale con lui, ricostituitasi per la riconciliazione intervenuta successivamente ad una prima separazione consensuale del 1986, come riconosciuto in una successiva separazione, anch'essa consensuale, del 25 marzo 1998; ma la convenuta curatela dedusse la mancanza di prova della ricostituzione della comunione legale tra i coniugi per effetto dell'addotta riconciliazione intervenuta dopo la (prima) separazione, comunque non opponibile ai terzi; ed il tribunale rigettò la domanda.
La corte di appello di Torino dichiarò poi inammissibile il gravame della Lo., articolato su venti ragioni di doglianza, rilevando la mancata specifica impugnazione di entrambe tali rationes decidendi e condannando l'appellante alle spese anche del secondo grado.
Per la cassazione di tale ultima sentenza, resa in data 4.5.07 col n. 702, ricorre ora, con atto notificato il 10.1.08 ed affidandosi a due motivi, la Lo.; degli intimati resiste, ma con controricorso notificato soltanto il 7.11.12, la Curatela.
Motivi della decisione
2. La ricorrente articola due motivi, dolendosi:
2. La ricorrente articola due motivi, dolendosi:
- con il primo, di "violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c. n. 3)", della dichiarata inammissibilità del gravame, concludendo col seguente quesito di diritto:
"costituisce violazione o falsa applicazione del primo comma dell'art. 342 c.p.c., la dichiarazione di inammissibilità dell'appello per difetto di indicazione dei motivi specifici allorquando, come nella fattispecie, i motivi dell'impugnazione, pur ipoteticamente infondati nel merito, sono tuttavia esposti senza che siano adoperate formule o seguiti schemi particolari ma siano chiaramente individuabili le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione che le sostiene?";
- con il secondo, di vizio motivazionale, della mancata considerazione delle ragioni specifiche dell'impugnazione indicate nell'atto introduttivo e delle argomentazioni più dettagliatamente svolte nella comparsa conclusionale; ma senza concludere con autonomo e separato momento di sintesi o riepilogo.
Dal canto suo, l'intimata Curatela contesta in rito e nel merito le avverse censure, a mezzo di un controricorso - però - manifestamente tardivo.
3. Ciò posto, deve rilevarsi che il ricorso è inammissibile, per violazione dell'art. 366-bis cod. proc. civ., norma che - per essere stata la sentenza impugnata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09 - continua ad applicarsi alla fattispecie, nonostante la sua abrogazione (ai sensi dell'art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69), in uno alla rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079):
3.1. pertanto, i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4, dell'art. 360 cod. proc. civ. devono essere corredati da quesiti che devono, a pena di inammissibilità, compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);
3.1. pertanto, i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4, dell'art. 360 cod. proc. civ. devono essere corredati da quesiti che devono, a pena di inammissibilità, compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);
d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perchè, in contrario, essi difetterebbero di decisività (sulla indispensabilità della pertinenza del quesito, per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
3.2. invece, i momenti di sintesi o di riepilogo a corredo dei motivi di vizio motivazionale devono consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680).
4. In applicazione di tali principi alla fattispecie, è inammissibile il primo motivo, perchè il quesito non contiene analitica indicazione dei requisiti sub a) e b) del punto 3.1 e, soprattutto, riguarda una tesi non pertinente alla ratio decidendi: infatti, questa riposa, con tutta evidenza, sul rilievo della mancata contestazione, con l'atto di appello, di due distinte rationes decidendi della sentenza di primo grado (la prima era la mancanza di prova della riconciliazione; la seconda era l'inopponibilità della stessa al fallimento) e non nel difetto di specificità in senso stretto; ancora, la doglianza di vizio motivazionale, di cui al secondo motivo, non è corredata dal prescritto separato momento di sintesi o riepilogo coi rigorosi requisiti di cui al precedente punto 3.2 (ed a prescindere dalla manifesta infondatezza della tesi dell'integrabilità di un atto di appello privo dei requisiti essenziali a mezzo della comparsa conclusionale, integrabilità esclusa fin dalla remota Cass. 1 luglio 1967, n. 1618).
5. Il ricorso va dichiarato inammissibile; e l'inammissibilità per manifesta tardività del controricorso, sebbene seguita da ulteriore attività della controricorrente in occasione della pubblica udienza, costituisce giusto motivo di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
6. Tuttavia, ritiene il Collegio che il ricorso stesso, benché inammissibile, abbia comunque presupposto e quindi sollevato una questione di particolare importanza, che, in difetto di statuizioni esplicite da parte di questa Corte, ingenera attualmente sensibili differenze applicative ed incertezze interpretative: quand'anche l'odierna opponente avesse provato - cosa che comunque non ha fatto, per quanto detto ed ora definitivamente statuito - che il bene staggito fosse stato, validamente ed in modo opponibile a terzi, compreso nella comunione legale tra lei ed il suo coniuge, unico debitore originario esecutato, l'esecuzione sul bene per intero, senza specificazione di quote e senza il ricorso alle forme di cui all'art. 599 e segg., cod. proc. civ. sarebbe stata l'unica pienamente legittima, in quanto corrispondente alle sole modalità consentite dalla natura della comunione legale quale comunione senza quote.
In applicazione di tale principio, che il Collegio stima necessario affermare quindi ai sensi dell'art. 363, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l'opposizione di terzo della coniuge non debitrice sarebbe stata comunque infondata, perchè tutte le allegazioni e gli accertamenti, espletati o richiesti e serventi alle prospettate pretese, non avrebbero mai potuto consentire l'accoglimento della sua domanda di sottrarre il bene all'espropriazione, come iniziata per l'intero, neppure in ordine alla sua metà.
6.1. L'ipotesi in esame riguarda il caso di un creditore del singolo coniuge, che voglia soddisfare un suo credito personale - cioè estraneo ai bisogni della famiglia - su beni appartenenti a quest'ultimo, ma ricadenti nella comunione legale con l'altro coniuge.
E' doveroso sottolineare che non si intende affatto rimettere in discussione le conclusioni che questa Corte ha raggiunto da tempo in tema di natura della comunione legale, nonostante le critiche ad essa mosse in dottrina, ma che meriterebbero altri approfondimenti nelle sedi proprie. Anzi, da tali conclusioni intende il Collegio qui limitarsi a dedurre le necessarie conseguenze in tema di esecuzione su beni che in quella comunione sono compresi: non vi è, infatti, disciplina specifica sull'espropriazione dei beni caduti in regime di comunione legale tra i coniugi.
La comunione legale tra i coniugi costituisce, nella interpretazione giurisprudenziale assolutamente prevalente (fin da Corte cost. 10 marzo 1988, n. 311) e nonostante dissensi in parte della dottrina, una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei (tra le ultime: Cass. 24 luglio 2012, n. 12923; Cass., ord. 25 ottobre 2011, n. 22082; Cass. 7 marzo 2006, n. 4890), trattandosi di comunione finalizzata, a differenza della comunione ordinaria, non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia (tra le altre: Cass. 9 ottobre 2007, n. 21098; Cass. 12 gennaio 2011, n. 517); essa può sciogliersi nei soli casi previsti dalla legge ed è indisponibile da parte dei singoli coniugi, i quali, tra l'altro, non possono scegliere quali beni farvi rientrare e quali no, ma solo mutare integralmente il regime patrimoniale, con atti dalla forma solenne opponibili ai terzi soltanto con l'annotazione formale a margine dell'atto di matrimonio; la quota non è quindi un elemento strutturale della proprietà: e, nei rapporti coi terzi, ciascuno dei coniugi, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune.
6.2. Tale impostazione impedisce, in primo luogo, la ricostruzione della comunione legale come una universalità; in secondo luogo, preclude l'applicabilità sia della disciplina dell'espropriazione di quote (di cui all'art. 599 ss. cod. proc. civ.), sia di quella contro il terzo non debitore: dell'una, perchè il bene appartiene ad altro soggetto solidalmente per l'intero, che non potrebbe comunque agire separatamente per lo scioglimento della comunione limitatamente a quel cespite; dell'altra, perchè è eccezionale e quindi insuscettibile di applicazione analogica l'assoggettamento a procedura esecutiva di un individuo che debitore non è.
L'unica opzione ricostruttiva che soddisferebbe le sole esigenze della comunione legale sarebbe l'esclusione della pignorabilità stessa dei beni che ne fanno parte per crediti diversi da quelli familiari: ma è opzione ricostruttiva che vanifica senza ragione le ragioni dei creditori dei singoli coniugi per crediti non familiari, i quali ultimi, invece, benché coniugati, non cessano di rispondere dei propri debiti con tutti i beni appartenenti al loro patrimonio, di cui all'art. 2740 cod. civ.; inoltre, la destinazione dei beni in comunione legale alle esigenze della famiglia non ne determina in assoluto l'impossibilità di soddisfare i crediti dei singoli coniugi, solo prevedendosi un regime di sussidiarietà (art. 189 cod. civ.; regime che, poi, si intende correttamente non comportare anche l'onere, per il creditore procedente, di esperire preventivamente e con esito negativo l'azione esecutiva sui beni personali del coniuge obbligato, come pure di compiere indagini sull'esistenza di essi: parendo invece preferibile rimettere a ciascuno dei coniugi - e quindi anche a quello non debitore - un vero e proprio onere di opporre od eccepire l'esistenza di beni personali del coniuge debitore, da aggredire preventivamente); infine, la sottrazione dei beni in comunione legale all'espropriabilità per crediti personali di uno di loro finisce col privare gli stessi singoli coniugi di ogni utile possibilità di accesso al credito e, paradossalmente, con il gravare negativamente sulla gestione del patrimonio familiare, per il soffocamento in radice della pienezza della partecipazione di ognuno dei singoli coniugi al traffico giuridico.
6.3. Si profilano pertanto almeno tre ipotesi ricostruttive alternative:
a) la necessità di aggredire il bene per l'intero (che poi la pratica si è fatta carico di complicare in sede di distribuzione, con l'ulteriore opzione tra la restituzione della metà del ricavato al coniuge non esecutato oppure alla comunione);
b) la facoltatività dell'aggressione per la sola metà;
c) l'indispensabilità dell'aggressione per una sola metà.
Va subito precisato che ciascuna di tali soluzioni presta il fianco ad inconvenienti ed intrinseche aporie, comunque non dando luogo a conclusioni assolutamente impeccabili dal punto di vista della coerenza sistematica: unico partito pare allora, ribadita l'intangibilità in questa sede del punto di partenza sulla definizione della comunione legale quale comunione senza quote, quello di individuare l'ipotesi ricostruttiva più coerente con le premesse e dalle conseguenze meno incongruenti, se non pure dalla minore negatività delle ricadute pratiche ed operative.
Orbene, ammettere un'espropriazione, in via obbligatoria od anche in via meramente facoltativa, per la sola quota della metà, a prescindere dall'astratta configurabilità di una quota nel perdurare della comunione, significherebbe applicare l'art. 599 segg. cod. proc. civ., e quindi, con un sostanziale stravolgimento dell'istituto della comunione legale, consentire, almeno in astratto (potendo in contrario notarsi che comunque oggi, dopo le riforme del 2005-06, esito normale di un'espropriazione di quote indivise è il giudizio di divisione, quella c.d. endoesecutiva, che a sua volta comporta la vendita del bene appunto per l'intero), l'assegnazione della "quota" del coniuge debitore in proprio anche ad estranei o, peggio ancora, la sua vendita giudiziaria, anche in tal caso con l'introduzione, all'interno di un bene che per definizione è restato all'interno della comunione legale, di un estraneo a quest'ultima.
D'altra parte, se un bene non è diviso in quote non può il creditore pignorarne una quota soltanto, perchè si attribuirebbe in tal modo al pignoramento una impossibile funzione di costituzione di diritti reali di contenuto o estensione prima insussistenti; e senza poi considerare che, quand'anche potesse ammettersi l'espropriazione della metà del bene in comunione legale, anche una cosiffatta quota della metà sarebbe, di per sé sola considerata, rientrante a sua volta nella comunione legale, tanto che i problemi si riproporrebbero anche per tale limitato oggetto dell'espropriazione.
Vanno quindi sicuramente escluse le ipotesi indicate sub b) e c).
6.4. Ritiene il Collegio che l'assenza di quote e soprattutto l'impossibilità che, quand'anche a seguito dell'espropriazione e limitatamente ad un bene, della comunione legale entri a far parte un estraneo (cioè colui che della "quota" eventualmente da sé sola staggita divenga aggiudicatario o assegnatario) impongano di qualificare come sola legittima l'opzione ricostruttiva della necessità di sottoporre, per il credito personale verso uno solo dei coniugi, il bene a pignoramento per l'intero, nei limiti dei diritti nascenti dalla comunione legale.
A tanto conseguono la messa in vendita o l'assegnazione del bene per intero e lo scioglimento - effettivamente, eccezionale e desumibile esclusivamente dal sistema legislativo - della comunione legale limitatamente a quel bene; a seguito del medesimo scioglimento, che si perfeziona al momento del trasferimento della proprietà del bene (e, quindi, per gli immobili, con la pronuncia del decreto di trasferimento, tanto in caso di vendita che di assegnazione), consegue il diritto del coniuge non debitore, in applicazione dei principi generali sulla ripartizione del ricavato della comunione al momento del suo scioglimento, al controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene (cioè quelle della procedura medesima), rese necessarie per il solo fatto del coniuge debitore, che non ha adempiuto i suoi debiti personali.
Di certo, all'atto della distribuzione il ricavato del bene non potrà essere attribuito per metà alla procedura esecutiva intentata contro il coniuge debitore (e quindi, figurativamente, a quest'ultimo, ai fini di soddisfacimento dei suoi creditori personali) e per l'altra metà "restituito" alla comunione: in primo luogo, perchè quel bene, con la vendita od assegnazione per intero, è uscito dalla comunione e, per l'esigenza di assicurare l'operatività della responsabilità patrimoniale del coniuge debitore in proprio, il suo ricavato va ripartito tra i due coniugi, allo stesso modo in cui allo scioglimento della comunione nel suo complesso ognuno di loro avrebbe diritto al controvalore della metà dei beni della comunione (salve le regole di attribuzione di cui all'art. 195 ss. cod. civ.); in secondo luogo, perchè ritenere che la metà del controvalore spettante al coniuge non debitore competesse alla comunione significherebbe poi consentire all'infinito altre esecuzioni individuali sul controvalore così solo formalmente restituito alla comunione, ma di fatto asservito esclusivamente, in virtù di successive espropriazioni delle residue metà (e matematicamente definibili come infinite, potendo procedersi appunto senza limite all'isolamento di una metà di ogni successivo residuo), al soddisfacimento del credito del creditore particolare di uno dei coniugi.
6.5. D'altra parte, della contitolarità solidale derivante dal regime di comunione legale può darsi adeguato conto nell'apposita sezione - a contenuto libero - della nota di trascrizione di un pignoramento che va operato nei riguardi del bene per intero, o, comunque, nelle stesse forme in cui può essere comunque opponibile l'appartenenza alla comunione legale anche dei beni per i quali la nota di trascrizione non fa menzione espressa.
La soggezione ad espropriazione di un bene sul quale ha eguale contitolarità il coniuge non debitore lo configura come soggetto passivo dell'espropriazione in concreto operata, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato: tale sua condizione imporrà la notificazione anche al coniuge non debitore del pignoramento, come pure l'applicazione al medesimo dell'art. 498, e dell'art. 567 cod. proc. civ., vale a dire la necessità dell'avviso ai suoi creditori iscritti personali e della documentazione c.d. ipotecaria almeno ventennale a lui relativa, al fine di non pregiudicare i diritti di terzi validamente costituiti anche da lui sul medesimo bene.
Il coniuge non debitore, che la precedente giurisprudenza di questa Corte di legittimità, senza affrontare però ex professo il problema, abilitava a proporre le opposizioni agli atti esecutivi o perfino di terzo, potrà certo esperirle: ma, quanto all'opposizione di terzo, non potrà con essa pretendere di escludere dall'espropriazione una quota del bene in natura, che non gli spetta e di cui - fino allo scioglimento della comunione, anche solo limitatamente a quel bene - non è titolare, ma, ad esempio, fare valere la proprietà esclusiva del bene staggito, per sua estraneità alla comunione; oppure, con opposizione ad esecuzione, far valere la non sussidiarietà del bene in comunione, per la presenza di beni personali del coniuge debitore utilmente aggredibili per il soddisfacimento del credito personale verso quest'ultimo; oppure ancora, con opposizione agli atti esecutivi, fare valere le nullità di quelli, fra questi, che comportino la violazione o la limitazione del suo diritto alla metà del controvalore del bene, come pure quelli che incidano sulla pienezza di quest'ultimo, se relativi alle operazioni di vendita o assegnazione.
6.6. Deve pertanto concludersi affermando il seguente principio di diritto, ai sensi dell'art. 363, comma terzo cod. proc. civ., (alla cui stregua la ricorrente avrebbe dovuto fin dall'inizio vedersi rigettata la sua opposizione), con l'ovvia specificazione che per vendita od assegnazione si intende il momento in cui a seguito di esse si ha, a seconda delle peculiarità delle singole espropriazioni, il trasferimento concreto della proprietà del bene staggito: la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., enuncia il seguente principio di diritto: la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., enuncia il seguente principio di diritto: la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione.
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venerdì 15 marzo 2013
Il matrimonio non è fallito, è l'amore che sorprende.
Da:http://cervelliamo.blogspot.it/2013/03/il-matrimonio-non-e-fallito-e-lamore.html
Dal 1995 al 2012 le separazionisono aumentate del 64 per cento, idivorzi sono raddoppiati, imatrimoni sono la metà rispetto agli anni ' 70, questi sono i dati dell'Istat.
Così si finisce per sperimentare nuove forme di unione: suInternet si cerca l'anima gemellain base al Dna o addirittura applicando gli argoritmi.
E per questo il filosofo Pascal Bruckner ha scritto un libro che ha fatto scalpore: Il matrimonio d'amore ha fallito?.
Ma è fallito il matrimonio o sarà per caso fallito il vero amore?
Quando si incontra delle coppie sposate da 35 anni che punta alle nozze d'oro, si può pensare che il matrimonio sia diventato un Giro d'Italia con un traguardo.
Però l'amore non ragiona sulla durata, ma sull'intensità, che va e viene, come la felicità.
E con quelle statistiche ci sta insegnando che nella vita può irrompere qualcosa di nuovo, che sconvolge tutto.
Quante volte si sente dire :" Che delusione, non mi innamorerò più" oppure "Nontradirò mai mio marito ", e poi succede tutto il contrario, si ci innamora di nuovo o sitradisce il marito.
Ma sapete perchè aumentano le separazioni?
Non per smettere di amare, ma per continuare ad amare, perchè le donne, che un tempo spegnevano il femminile tra i fornelli della cucina, non vogliono più aspettare di arrivare alla fine del Giro, ma vogliono che ogni tappa accada qualcosa di meraviglioso.
Nessuna donna si è sposata per fare solo la mamma.
Non è finito l'amore, ma sta semplicemente smontando tutti i paletti dell'abitudinequotidiana, nozze d'oro comprese.
E dobbiamo sapere che l'amore è pronto a tutto, a qualsiasi costo, anche a distruggere imatrimoni che sembrano felici.
Ma pur di continuare a danzare nel cuore di ciascuno di noi.
Purtroppo i tempi sono cambiati, le donne, come gli uomini, cercano e vogliono molto di più di una volta, cercano l'affetto, l'amore, il rispetto.
Ma una cosa si può anche dire, che se il tradimento avviene ci deve essere un motivo valido.
Come ad esempio, le donne che cercano l'amore in un altro uomo, vuol dire che il marito o compagno, non gliene dà, non gli dimostra amore o peggio la maltratta o la picchia.
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giovedì 14 febbraio 2013
Il matrimonio? Rende il cuore piu' forte
Da:http://www.nextme.it/societa/sesso-e-comportamenti/5089-matrimonio-cuore

Chi si sposa rischia meno l'infarto: questa la buona notizia per il cuore arrivata dall'Università di Turku (Finlandia), secondo la quale le unioni felici avrebbero un significativo effetto benefico sulla salute del nostro sistema cardio circolatorio, rendendoci meno soggetti ad attacchi di cuore.
Lo studio è stato condotto raccogliendo dati supiù di 15mila e 300 persone con attacchi di cuore subiti tra il 1993 e il 2002. Tra questi, si annoveravano circa 7mila e 700 morti entro 28 giorni dalla crisi cardiaca. Analizzando i dati familiari dei pazienti, i ricercatori hanno scoperto che gli uomini non sposati avevanotra il 58 e il 66 per cento in più di probabilità di avere un attacco di cuore, così come tra il 60 e il 65 per cento delle donne single, rispetto agli individui sposati o conviventi.
E per quanto riguarda il rischio di morire a causa dell'attacco di cuore il divario era ancora più grande: per gli uomini, infatti, la probabilità di decesso entro 28 giorni dalla crisi era tra il 60 e il 168 per cento superiore a quella degli uomini sposati o conviventi, mentre per le donne single tra il 71 e il 175 per cento superiore. E tutto questo senza distinzione di età.
"Il nostro studio suggerisce che il matrimonio riduce il rischio di eventi coronarici acuti e di morte dovuta a questi attacchi, sia negli uomini che nelle donne, e di tutte le età -ha spiegatoAino Lammintausta, primo autore della ricerca- Inoltre, soprattutto per gli uomini e donne di mezza età, essere sposati e conviventi è associato a prognosi nettamente migliore sia prima che dopo aver raggiunto l'ospedale".
Per quanto riguarda le ragioni, le ipotesi sono diverse, e ancora non confermate. I ricercatori sostengono che, da un lato può esserci una maggiore attenzione a seguire le norme di comportamento dopo la crisi e il rientro a casa da parte di chi ha una persona accanto, che magari vigila sulla salute del partner, dall'altra è possibile un migliore trattamento in ospedaleper chi ha un compagno.
Tra le varie norme di comportamento per la prevenzione cardiovascolare risulterebbe quindi anche la stabilità affettiva. "Bene o male, il matrimonio è associato a una migliore salute cardiovascolare e un minor rischio di morte a causa di un evento coronarico acuto", ha conclusoGregg Fonarow, professore di cardiologia presso l'Università della California (Los Angeles).
Amare fa bene al cuore dunque, e non solo in senso lato.
Il lavoro è stato pubblicato sullo European Journal of Preventive Cardiology.
Roberta De Carolis
IL MATRIMONIO, SI DICE, E' LA TOMBA DELLA PASSIONE
Da:http://www.legnanonews.com/news/25/26485/
Quanto volte lo si è sentito dire: “il matrimonio è la tomba della passione”.
Sarà un luogo comune, ma è vero che, in molte coppie, con la convivenza si modifica anche il modo in cui la sessualità è vissuta, spesso nella direzione di essere per uno dei due partner insoddisfacente.
Chiariamo subito: la sessualità è un aspetto importante della vita di coppia, ma non come vorrebbe il senso comune. Ci sono ottime coppie che non hanno un’intensa vita sessuale e pessime coppie in cui invece accade il contrario. Se anche il modo di vivere l’intimità tra due persone è frutto di una scelta, tutto dipende da quanto questa è frutto di un accordo comune, di un consenso reciproco.
Quindi non può esserci una reale intesa se non c’è l’impegno comune a raggiungerla. In questo senso ritengo corretto parlare di consenso, la sessualità vissuta come semplice dovere coniugale sarebbe al massimo mediocre.
Il patto che lega una coppia non è statico, cambia nella vita della coppia e il modo in cui la sessualità viene sperimentata tra i partner può essere tanto un rinnovo dell’alleanza coniugale, quanto una sua messa in crisi.
La passione vissuta intensamente all’inizio della relazione è espressione del reciproco donarsi all’altro e, contemporaneamente, pretendere l’altro. Il modo individuale in cui vivo la mia sessualità è escluso, nella ricerca di un comune denominatore che si “fa tutto” nella coppia, negando le specifiche differenza tra i due partner.
La passione, all’inizio, ha il compito di confermare l’unicità della coppia stessa, il suo essere speciale.
Con la convivenza si segna una svolta importante, significando essa la consapevolezza di poter contare su un patto, al limite si vive un po’ la tranquillità del “finalmente ti ho conquistato”.
Alla luce di questo la sessualità acquista un nuovo valore, ovvero ribadisce il consenso, lo rinnova, non lo deve più stipulare.
Al fianco della passione può emergere la complicità, la fiducia reciproca, l’accettazione reciproca.
Con il tempo ci si conosce di più, la sessualità diviene (sempre più) anche intimità. Si ha la sensazione di conoscersi di più e si può vivere in modo più profondo l’essere “alleati”. La sessualità “adulta” si fa “seria”, così come lo diviene la relazione di coppia.
Inevitabilmente diventano più chiare le differenze, tanto nella vita di tutti i giorni quanto nel modo in cui la sessualità viene vissuta.
Ovvero questa diviene non solo simbolo di reciproca appartenenza, ma anche di differenziazione, perché il “desiderio” è individuale e l’area condivisa della sessualità è solo una parte di come essa viene vissuta per ciascuno dei partner.
È evidente che una parte del mio desiderio di partner verrà comunicata, perché ha nelle sue caratteristiche la possibilità di essere comunicabile, un’altra parte invece resterà con me, forse perché temuta, forse perché si ritiene che l’altro non potrà accettarla. Quanto preme sottolineare è che dopo la convivenza le differenze emergono e che una buona relazione di coppia è in grado di valorizzarle piuttosto che negarle. Ovvero emerge la consapevolezza che non si è più un “tutt’uno” ma questa è (o meglio dovrebbe essere) la forza di una coppia non la sua debolezza.
Quindi se la convivenza è una messa alla prova del legame, altrettanto l’incontro intimo tra i due partner è chiamato a rispondere a questa nuova fase della vita in due.
Una vita sessuale avvertita come non soddisfacente potrebbe essere dovuta alla difficoltà legata al passaggio, da una fase di amore romantico, a una più matura della vita di coppia. I due aspetti si possono influenzare in modo reciproco: difficoltà nella relazione possono riflettersi nella vita intima, tanto quanto difficoltà nella relazione sessuale si possono riflettere nella vita di coppia.
Ma torniamo alla nostra domanda: l’effetto negativo della convivenza sulla vita intima di una coppia farebbe quindi riferimento alla possibile diminuzione o alla mancanza di desiderio da parte di uno dei partner. Il problema non starebbe, quindi, solo nell’assenza di desiderio stessa, quanto nel significato che ad essa viene attribuito: “non mi cerchi perché non mi ami più ... perché non mi vedi più con gli occhi di una volta ... perché non ti piaccio più ... perché pensi a qualcun altro o qualcun’altra”.
Ovviamente tanto più è vissuto come minaccioso il significato attribuito alla mancanza di desiderio, tanto più essa verrà vissuta come un problema.
Quello che spesso accade in queste situazioni è che ci si irrigidisce in una posizione per così dire “normativa”: chi sente ancora desiderio è nel giusto, chi non lo avverte è nel torto e deve cambiare.
È spesso per questo che viene richiesto l’aiuto terapeutico.
Sarebbe invece opportuno considerare l’esatto contrario, ovvero che la vita sessuale si basa sul contributo di entrambi sia nel bene che nel male, ovvero è necessario trovare un nuovo e comune consenso su cui basare anche la vita sessuale, una nuova forma che comprenda anche un nuovo modo di vedere me stesso e il partner, come persone che vivono un proprio desiderio, proprie aspettative e propri obiettivi.
Abbiamo solo accennato a uno degli aspetti più complessi della vita di relazione, continueremo a parlarne. Nel frattempo per qualsiasi domanda o considerazione vi invito a scrivermi.
Sarà un luogo comune, ma è vero che, in molte coppie, con la convivenza si modifica anche il modo in cui la sessualità è vissuta, spesso nella direzione di essere per uno dei due partner insoddisfacente.
Chiariamo subito: la sessualità è un aspetto importante della vita di coppia, ma non come vorrebbe il senso comune. Ci sono ottime coppie che non hanno un’intensa vita sessuale e pessime coppie in cui invece accade il contrario. Se anche il modo di vivere l’intimità tra due persone è frutto di una scelta, tutto dipende da quanto questa è frutto di un accordo comune, di un consenso reciproco.
Quindi non può esserci una reale intesa se non c’è l’impegno comune a raggiungerla. In questo senso ritengo corretto parlare di consenso, la sessualità vissuta come semplice dovere coniugale sarebbe al massimo mediocre.
Il patto che lega una coppia non è statico, cambia nella vita della coppia e il modo in cui la sessualità viene sperimentata tra i partner può essere tanto un rinnovo dell’alleanza coniugale, quanto una sua messa in crisi.
La passione vissuta intensamente all’inizio della relazione è espressione del reciproco donarsi all’altro e, contemporaneamente, pretendere l’altro. Il modo individuale in cui vivo la mia sessualità è escluso, nella ricerca di un comune denominatore che si “fa tutto” nella coppia, negando le specifiche differenza tra i due partner.
La passione, all’inizio, ha il compito di confermare l’unicità della coppia stessa, il suo essere speciale.
Con la convivenza si segna una svolta importante, significando essa la consapevolezza di poter contare su un patto, al limite si vive un po’ la tranquillità del “finalmente ti ho conquistato”.
Alla luce di questo la sessualità acquista un nuovo valore, ovvero ribadisce il consenso, lo rinnova, non lo deve più stipulare.
Al fianco della passione può emergere la complicità, la fiducia reciproca, l’accettazione reciproca.
Con il tempo ci si conosce di più, la sessualità diviene (sempre più) anche intimità. Si ha la sensazione di conoscersi di più e si può vivere in modo più profondo l’essere “alleati”. La sessualità “adulta” si fa “seria”, così come lo diviene la relazione di coppia.
Inevitabilmente diventano più chiare le differenze, tanto nella vita di tutti i giorni quanto nel modo in cui la sessualità viene vissuta.
Ovvero questa diviene non solo simbolo di reciproca appartenenza, ma anche di differenziazione, perché il “desiderio” è individuale e l’area condivisa della sessualità è solo una parte di come essa viene vissuta per ciascuno dei partner.
È evidente che una parte del mio desiderio di partner verrà comunicata, perché ha nelle sue caratteristiche la possibilità di essere comunicabile, un’altra parte invece resterà con me, forse perché temuta, forse perché si ritiene che l’altro non potrà accettarla. Quanto preme sottolineare è che dopo la convivenza le differenze emergono e che una buona relazione di coppia è in grado di valorizzarle piuttosto che negarle. Ovvero emerge la consapevolezza che non si è più un “tutt’uno” ma questa è (o meglio dovrebbe essere) la forza di una coppia non la sua debolezza.
Quindi se la convivenza è una messa alla prova del legame, altrettanto l’incontro intimo tra i due partner è chiamato a rispondere a questa nuova fase della vita in due.
Una vita sessuale avvertita come non soddisfacente potrebbe essere dovuta alla difficoltà legata al passaggio, da una fase di amore romantico, a una più matura della vita di coppia. I due aspetti si possono influenzare in modo reciproco: difficoltà nella relazione possono riflettersi nella vita intima, tanto quanto difficoltà nella relazione sessuale si possono riflettere nella vita di coppia.
Ma torniamo alla nostra domanda: l’effetto negativo della convivenza sulla vita intima di una coppia farebbe quindi riferimento alla possibile diminuzione o alla mancanza di desiderio da parte di uno dei partner. Il problema non starebbe, quindi, solo nell’assenza di desiderio stessa, quanto nel significato che ad essa viene attribuito: “non mi cerchi perché non mi ami più ... perché non mi vedi più con gli occhi di una volta ... perché non ti piaccio più ... perché pensi a qualcun altro o qualcun’altra”.
Ovviamente tanto più è vissuto come minaccioso il significato attribuito alla mancanza di desiderio, tanto più essa verrà vissuta come un problema.
Quello che spesso accade in queste situazioni è che ci si irrigidisce in una posizione per così dire “normativa”: chi sente ancora desiderio è nel giusto, chi non lo avverte è nel torto e deve cambiare.
È spesso per questo che viene richiesto l’aiuto terapeutico.
Sarebbe invece opportuno considerare l’esatto contrario, ovvero che la vita sessuale si basa sul contributo di entrambi sia nel bene che nel male, ovvero è necessario trovare un nuovo e comune consenso su cui basare anche la vita sessuale, una nuova forma che comprenda anche un nuovo modo di vedere me stesso e il partner, come persone che vivono un proprio desiderio, proprie aspettative e propri obiettivi.
Abbiamo solo accennato a uno degli aspetti più complessi della vita di relazione, continueremo a parlarne. Nel frattempo per qualsiasi domanda o considerazione vi invito a scrivermi.
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